Cosa prevede l’articolo 18 e perché vogliono cancellarlo?

23 Mar

La laconica affermazione del presidente Monti (“la trattativa sull’art.18 è chiusa”) ha concluso la lunghissima riunione del governo con le parti sociali sulla riforma del mercato del lavoro.
Detto questo facciamo alcune considerazioni che in questo momento ci interrogano su cosa accadrà nei prossimi giorni. E poco importa lo strumento che sarà individuato per trasformare in atto legislativo quanto il governo ha ritenuto di convenire con tutte le associazioni datoriali e sindacali presenti, ad esclusione della Cgil.

Prima di entrare nel merito delle modifiche occorre chiarire cosa prevede l’attuale formulazione dell’art. 18:
In Italia i licenziamenti possono avvenire per: a) giusta causa, quando viene meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore. A questa motivazione vanno ricondotti i licenziamenti per motivi disciplinari; b) per giustificato motivo oggettivo, rappresentato da ragioni inerenti l’organizzazione del lavoro dell’impresa. Costituisce pertanto giustificato motivo oggettivo la crisi dell’impresa, la cessazione dell’attività e, anche solo, il venir meno delle mansioni cui era in precedenza assegnato il lavoratore, senza che sia possibile il suo “ripescaggio”, ovvero la ricollocazione del medesimo in altre mansioni esistenti in azienda e compatibili con il livello di inquadramento.

Il lavoratore a cui viene notificato un licenziamento ha il diritto di ricorrere al giudice del lavoro per una verifica e un controllo sulle motivazioni addotte e nel caso il giudice non dovesse ravvisare la proporzionalità tra la motivazione e il licenziamento, ordina il reintegro del lavoratore.

Tutto qua. Solo questo? Si, solo questo. Ora -senza “tabù”- esiste qualcuno che possa considerare un tale principio di civiltà giuridica un freno allo sviluppo? Può l’articolo 18 essere vissuto come il muro che frena gli investimenti esteri?
La questione vera di cui occorre prendere atto è che ciò che vanno sbandierando come riforma del mercato del lavoro è solo il pretesto per eliminare questo fondamentale diritto. C’è qualcuno che possa spiegare il rapporto tra precariato e articolo 18; c’è qualcuno, a parte la Fornero e Berlusconi, che possa affermare che non si assume perché non si può licenziare?

Altra questione da non sottovalutare è che l’articolo 18 svolge un ruolo di deterrenza, oltre che di giustizia. Con la riforma Fornero, il reintegro sul posto di lavoro sarà sostituito dal mero pagamento di un indennizzo economico, ossia -in molti casi- ad una monetizzazione dell’abuso nei luoghi di lavoro.

Adesso la parola passa al Parlamento, sperando avrà il coraggio di cambiare quanto proposto/imposto dal governo. Quello che è certo è che i lavoratori hanno già pagato e caramente questa crisi.

Vedi anche: I documenti del Governo sulla riforma del mercato del lavoro

Pippo Di Natale

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14 Risposte to “Cosa prevede l’articolo 18 e perché vogliono cancellarlo?”

  1. rosi vitello marzo 23, 2012 a 11:36 am #

    è vergognoso come hanno strumentalizzato l’art. 18 per poter licenziare come e quando vogliono!!!!!quello che mi fa piu rabbia è che anche il pd alla fine voteranno si a questa riforma!!!!!!quindi dobbiamo ribellarci a questa forma di dittatura il cittadino è lo stato e non chi ci rappresenta!!!!!!! uniti tutti insieme dobiamo mandare a casa questi dittatori!!!!!!

    • Fulvio marzo 23, 2012 a 1:15 PM #

      e allora piantamola di votare il PD una buona volta!!! Votiamo M5S per esempio… o se proprio proprio IdV

    • Nansen marzo 25, 2012 a 8:55 PM #

      Sì, ma come, mandarli a casa?
      Sono una lobby potentissima che pare riesca bene a fregarsene persino delle decisioni referendarie… (e fra un po’ vedremo, come ritorneranno sull’acqua!!!)…
      Continuano imperterriti a farsi un baffo delle ns condizioni esiziali… mentre conducono vite da nababbi fra sprechi e gozzoviglie…
      Ch’avemo daffà, armarci e scenne’n piazza???

  2. Vittorio marzo 23, 2012 a 2:12 PM #

    Effettivamente è una cosa deplorevole, così facendo tolgono la possibilità agli italiani di credere nel proprio futuro, in quanto uno diventa praticamente schiavo del lavoro e di chi glielo concede (a questo punto si può veramente parlare di lavoro in termini di richiesta di favore).
    Gli schieramenti politici non contano nulla, sono solo quella facciata che serve a farci credere che il nostro voto conta ancora qualcosa, è gente che ci mette la faccia ma in realtà non conta nulla ed è messa lì solo per far finta di essere l’una contro l’altra per confonderci le idee (e dividersi parte dei proventi delle nostre tasse).
    Noi in realtà siamo governati da figure che neanche abbiamo la più pallida idea di chi possano essere, e noi continuiamo ad andare a votare ed a credere ad un ideale politico che neanche esiste….siamo messi veramente male.

    • Nansen marzo 25, 2012 a 9:00 PM #

      CHE AGGIUNGERE A QUESTE PAROLE?
      SONO UNA FOTOGRAFIA IN ALTA RISOLUZIONE DI QUELLA CHE E’ LA NOSTRA MISERA REALTA’.
      …CHE DOBBIAMO FARE?
      ASPETTARE CHE IL GRANDE FRATELLO CI MOSTRI IL VOLTO CHE LA LOBBY DI QUESTI PARASSITI HA SCELTO PER DIRCI COME COMPORTARCI E CHE FARE PER EVITARE LA LEGGE MARZIALE?

  3. amaro marzo 23, 2012 a 3:06 PM #

    propongo di leggere questi 2 articoli:
    http://noisefromamerika.org/articolo/protezione-occupazione-cosa-sappiamo-cosa-no-parte-1-teoria
    http://noisefromamerika.org/articolo/protezione-occupazione-cosa-sappiamo-cosa-no-parte-2-evidenza
    ognuno è libero di avere le proprie idee, io preferisco quelle che vengono supportate dai fatti e non quelle fine a se stesse…

    • marifior marzo 24, 2012 a 6:13 PM #

      grazie e concordo sul confrontare le nostre idee con fatti ed opinioni. altrimenti è meglio tacere

  4. ff0rt marzo 23, 2012 a 10:58 PM #

    Per favore, non facciamo finta di non vedere tutti i nulla-facenti (o poco-facenti) che l’art. 18, così com’è adesso, rende intoccabili.

  5. kiriosomega marzo 23, 2012 a 11:16 PM #

    proporrei la lettura di questo: “http://kiriosomega.wordpress.com/2012/03/23/la-vera-dura-realta-dopo-la-caduta-dellart-18-la-verdadera-dura-realidad-despues-de-la-caida-del-articulo-18-%CE%B7-%CF%80%CF%81%CE%B1%CE%B3%CE%BC%CE%B1%CF%84%CE%B9%CE%BA%CE%AE-%CF%83%CE%BA%CE%BB/” è anche divertente.
    kiriosomega

  6. osservo marzo 23, 2012 a 11:39 PM #

    Articolo v.m. 18

  7. Silvano Rucci marzo 24, 2012 a 12:43 am #

    Altro che articolo 18!

    Con le attuali regole sul lavoro e sul pensionamento come faranno i nostri giovani a dimostrare che alla fine del proprio periodo lavorativo avranno maturato il diritto a percepire una pensione, pur non avendo versato alcun contributo a causa della mancanza di lavoro causata dalla attuale crisi finanziaria?

    “Questi giovani, impossibilitati a pensare ad un proprio progetto di vita, diventano una generazione a cui è preclusa ogni speranza futura”!

    Per i giovani di questi ultimi venti anni, si è già perso troppo tempo!

    Sicuramente il mio voto lo darò al politico che si occuperà di questa vergognosa
    situazione!

    Però i veri responsabili “imboscati” della crisi finanziaria devono venir fuori e pagare per i danni provocati!

  8. giuliocuriel marzo 26, 2012 a 12:53 PM #

    Sinceramente non capisco se Fornero “ci è o ci fà”, cioè se nella tanto sbandierata correlazione tra Art.18 e sostanziale blocco del mercato del lavoro in Italia ci crede davvero. Personalmente ritengo da un lato che Fornero non abbia ancora ben capito di essere al governo di un paese di 60 mln di abitanti e non a una lectio magistralis in cui puoi sparare tutte le belle teorie neoliberiste che vuoi che tanto non fai male a nessuno; dall’altro che quel furbone di Monti (che invece queste cose le ha capite benissimo perché ha ben altra statura) sfrutti la bagarre attorno all’Art.18 per non aprire una assai più scomoda riflessione sui veri mali che bloccano l’economia italiana, e di conseguenza le opportunità di impiego che essa è in grado di offrire ai lavoratori. Io ho scritto un post sull’argomento, individuando 13 punti su cui sarebbe opportuno intervenire invece di baloccarsi sull’Art.18. Se avete voglia di leggerlo lo trovate a http://goo.gl/ZUGxe Una cosa comunque è chiara: che più presto si esce da questo fake dell’Art.18 e si comincia a parlare seriamente di economia, meno danni si fanno. La riforma del lavoro avrebbe dovuto farla il Ministro per lo sviluppo economico…

  9. Famor marzo 26, 2012 a 9:51 PM #

    Non si combatte una battaglia lunga e difficile, come quella che si preannuncia per svuotare di contenuti l’art.18, solo per poter licenziare qualche centinaio, o poche migliaia, di lavoratori dipendenti.

    Sarebbe stato facile offrire alle imprese qualche compensazione per tenerseli. Sarebbe stato facile accettarla e lasciar perdere.

    Qui sono in gioco, evidentemente, decine di migliaia di licenziamenti.
    E qualche centinaio di migliaia di lavoratori che, con la semplice minaccia della perdita del posto, diventano ricattabili. Ricattabili senza alcun limite, senza alcun pudore, senza dignità. Sarà facile trasferirli da una città all’altra, adibirli a mansioni dequalificanti, pretendere da loro straordinari non pagati, farli lavorare trascurando le normative di sicurezza.
    Saranno padri che torneranno a casa con gli occhi bassi, umiliati e frustrati, saranno giovani madri che dovranno abbozzare imbarazzati sorrisi alle stupide avances di un qualunque capufficio, perché a casa ci sono i bambini a cui dar da mangiare, e non si possono correre rischi.

    E, comunque, decine di migliaia di licenziamenti.

    Probabilmente cinquantenni, a 15 o 20 anni di distanza da una piccola pensione.
    Alcuni troveranno un altro lavoro (ma quanti? Non sei più giovane, non hai competenze particolari e poi, se ti hanno licenziato, evidentemente un motivo ci sarà stato…).
    Alcuni se la caveranno, magari con l’aiuto di parenti o amici, magari con lavoretti in nero.
    Alcuni no, non se la caveranno. Arriverà qualche provvidenziale malattia psicosomatica a portarli via da una vita che, ormai, non vale più la pena vivere.
    Alcuni, certo, si suicideranno. Sono cose che succedono.
    Molti di loro hanno dei figli e questi, certo, non potranno più avere il futuro che immaginavano. Certo, alcuni faranno da soli, saranno moderni “imprenditori di se stessi”, avranno successo. Alcuni troveranno libero uno dei posti di lavoro lasciati dalla generazione che li ha preceduti, saranno contenti e poi, magari fra trent’anni, seguiranno lo stesso destino dei loro genitori.
    Alcuni no, non ce la faranno. Saranno disadattati, o criminali. Moriranno giovani, o uccideranno altre persone.
    Ancora morti.

    Chi ha pianificato tutto questo, ne è pienamente consapevole. Ha pianificato anche i morti. Non li vorrebbe, certo, ma in qualche misura sono delle conseguenze inevitabili di un radicale processo di ristrutturazione del mondo del lavoro. Un prezzo da pagare per mantenere in vita il “sistema economico” perché, e questo è il nostro limite, non c’è nessuno capace di immaginarne un altro; dietro c’è solo l’anarchia, il buio, e le classi dirigenti hanno paura del buio, come i bambini.

    Chi ha pianificato tutto questo è come un generale, il cui compito è quello di pianificare la battaglia e uscirne vittorioso, facendo una stima delle perdite, degli inevitabili danni collaterali, ed accettandoli con la rassegnazione del professionista, del tecnico, dell’uomo che è chiamato a più alte responsabilità per difendere “il sistema”. Non è un uomo che ama la guerra, non l’ha voluta lui. Non che l’abbia scelto lui, il sistema. Ma non è che qualcuno abbia proposto valide alternative, e allora…

    E questo è il punto più drammatico. La scelta a cui nessuno di noi può sottrarsi. O accettiamo il conto delle perdite, e allora la finiamo di lamentarci e, come tutti i soldati in battaglia, ci limitiamo a sperare che la pallottola nemica, sparata a caso, colpisca un altro e risparmi noi, o non lo accettiamo.

    Disertiamo. Passiamo all’altro schieramento. Troviamo un altro “sistema” in cui credere. Troviamo un pensatore che sappia immaginarlo, e in giro non se ne vedono. O troviamo un’idea romantica, il sogno di un mondo migliore, e combattiamo per quello. Ma la guerra c’è comunque, non possiamo sottrarci, non c’è un posto in cui nascondersi.
    E, in guerra, sparare al generale nemico, e magari rischiare la propria vita per farlo, non è un crimine, è un dovere, è un gesto eroico. Forse dobbiamo ripensare ai giudizi che abbiamo dato sul terrorismo degli anni settanta, all’idea del delitto politico rispetto all’omicidio comune.
    Forse dobbiamo avere il coraggio di ripensare alla facile esecrazione che abbiamo riservato a chi ha sparato ai giuslavoristi che avevano pianificato le prime riforme del mercato del lavoro. Erano i primi generali che combattevano per difendere il sistema, e i primi idealisti che sceglievano di combattere per cambiarlo. 
    Perché è allora che la guerra è cominciata.

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